Appunti sui linguaggi specialistici
“Parla come mangi” è un’espressione rivolta a chi parla in modo innecessariamente complicato; è un invito a utilizzare un linguaggio semplice, così come semplice è il nostro modo di mangiare. Il problema non è sempre relativo alla comprensione, poiché il contesto può venirci in aiuto: il più delle volte, infatti, la difficoltà nasce dalla percezione di una distanza culturale, la stessa che si avverte al leggere/sentire un discorso prodotto in un linguaggio specialistico.
I linguaggi specialistici o Languages for Special Purposes (LSP) si distinguono dal parlato quotidiano per le specificità delle discipline in cui sono utilizzati. Avremo quindi i linguaggi commerciale, legale, medico, e via dicendo, articolati a loro volta in numerosi linguaggi settoriali a seconda dell’ambito di applicazione (per esempio, in campo legale, quello tipico dei contratti).
Sebbene ai non addetti ai lavori appaiano oscuri, tali linguaggi nascono in realtà dall’esigenza di una comunicazione il più precisa e trasparente possibile tra gli appartenenti a un determinato ambito di specializzazione. Per questo motivo, uno dei numerosi tratti distintivi dei linguaggi specialistici è la monoreferenzialità, caratteristica per la quale a un dato termine corrisponde un solo e unico significato.
È interessante osservare la distinzione tra i linguaggi specialistici delle cosiddette “scienze dure” (dall’inglese hard science), ovvero le scienze esatte come matematica e fisica*, e quelli delle cosiddette “scienze molli” (dall’inglese soft science), che hanno l’esigenza di distinguersi dalla lingua comune per affermare il proprio status. Si pensi per esempio alla burocrazia: quante volte ci siamo domandati se una certa informazione non si sarebbe potuta dare in maniera più semplice e chiara?
Rispetto al passato, grazie in particolare a Internet, oggi una persona di media cultura conosce più parole di tipo tecnico-scientifico perché la comunicazione di tutti i giorni ne è maggiormente permeata. Ciò è particolarmente evidente in quelle discipline che, per diverse necessità, entrano nella vita quotidiana di interlocutori estranei a determinati ambiti. È il caso soprattutto del linguaggio giuridico.
La lingua della legge è caratterizzata da un’abbondanza di tecnicismi e sinonimi colti – la cui unica funzione è quella di innalzare il registro – e, sul piano sintattico, come per gli altri linguaggi specialistici, da una preferenza per la concisione e l’impersonalità (la mancanza di emotività è una delle peculiarità più evidenti dei linguaggi specialistici). È la lingua dei testi normativi, quali leggi, decreti, regolamenti, e dei testi prodotti in ambito processuale, come sentenze e ricorsi, o in ambito amministrativo, come ordinanze, certificati. La diversità degli argomenti trattati nelle varie branche del diritto, dei pubblici cui ci si rivolge e delle finalità perseguite, comportano poi ulteriori differenze.
Ricollegandoci a un articolo recentemente scritto per il nostro blog, ci sembra opportuno sottolineare che anche in ambito giuridico vi è una diffusione capillare dell’inglese, utilizzato per garantire la comprensione reciproca tra esperti di diritto in tutto il mondo. Sono esempi le locuzioni “job sharing” e “class action”, che nonostante la poca trasparenza lamentata dalla comunità, si sono progressivamente radicate grazie, in massima parte, al loro utilizzo nei media.
Negli ultimi anni le principali istituzioni europee si sono battute per l’armonizzazione terminologica puntando al monolinguismo inglese, ma emerge l’enorme difficoltà di attribuire a un termine/concetto inglese le stesse proprietà che hanno i presunti equivalenti delle altre lingue. Manca, infatti, una perfetta sovrapponibilità, un problema, questo, molto sentito in ambito giuridico, ma non esclusivo di questo linguaggio specialistico.
*Il Premio Nobel per la Fisica (1965) Richard Feynman affermò: “[…] i fisici non possono tradurre in nessun’altra lingua. Se volete conoscere e apprezzare la natura è necessario capire la lingua che parla”.